IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 327 del 2012, proposto  da  Anphora  Coop.  Sociale
A.R.L.,   in   persona   del   legale   rappresentante   pro-tempore,
rappresentata e difesa  dall'avv.  Angelo  Tomaselli,  con  domicilio
eletto presso lo studio del medesimo, in  Reggio  Calabria,  via  del
Crocifisso n. 58, contro  Asp  -  Azienda  Sanitaria  Provinciale  di
Reggio Calabria, in persona del  legale  rappresentante  pro-tempore,
non costituit, per l'ottemperanza al giudicato formatosi in relazione
ai decreti ingiuntivi n. 940 del 18 agosto  2010  e  n.  223  del  22
febbraio 2011 emessi dal Tribunale di Reggio Calabria  per  forniture
di prestazioni di riabilitazione estensiva rese dalla  ricorrente  in
favore degli assistiti del Servizio sanitario nazionale per gli  anni
2009, 2010 e 2011. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visto l'art. 79, comma 1, cod. proc. amm.; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2012 la
dott.ssa Valentina Mameli e uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    1) Con il ricorso in esame, notificato il 20 giugno  2012,  parte
ricorrente ha chiesto l'ottemperanza ai decreti ingiuntivi n. 940 del
18 agosto 2010 e a 223 del 22 febbraio 2011 emessi dal  Tribunale  di
Reggio  Calabria  per  forniture  di  prestazioni  di  riabilitazione
estensiva  rese  dalla  ricorrente  in  favore  degli  assistiti  del
Servizio sanitario nazionale per gli anni 2009, 2010 e  2011.  Con  i
provvedimenti  monitori,  notificati  all'ASP  di   Reggio   Calabria
rispettivamente in data 20 ottobre 2010 e 24  marzo  2011,  e'  stato
ingiunto il pagamento della somma complessiva di  euro  6.736.539,44,
oltre  interessi  legali  dal  dovuto  al  saldo,  nonche'  spese   e
competenze di procedura. 
    In particolare, parte ricorrente, a fronte del mancato  pagamento
di tali importi, ha chiesto  al  Tar  di  disporre  l'esecuzione  del
giudicato che discende dai predetti decreti ingiuntivi. 
    L'ASP non si e' costituita in giudizio. 
    Come risulta dalle relative attestazioni  della  Cancelleria  del
Tribunale civile di Reggio Calabria, entrambi  i  decreti  ingiuntivi
sono divenuti definitivamente esecutivi rispettivamente  in  data  23
dicembre 2010 e 23 maggio 2011, ovvero prima  dell'instaurazione  del
presente   giudizio   e,   pertanto,   alla   luce   di   consolidata
giurisprudenza in ordine all'efficacia di cosa giudicata dei  decreti
ingiuntivi non opposti, parte ricorrente  ha  adito  questo  TAR,  ai
sensi dell'art. 112 cod. proc. amm. 
    Tuttavia viene in rilievo in  senso  ostativo  all'ammissibilita'
dell'azione la disposizione di cui all'art. 1, comma 51, legge n. 220
del 12 dicembre 2010, nel testo modificato dall'art. 6-bis,  comma  2
del  decreto-legge  13  settembre  2012,  n.  158,   convertito   con
modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, che cosi' dispone:
"Al fine di assicurare il  regolare  svolgimento  dei  pagamenti  dei
debiti oggetto della ricognizione di cui all'articolo  11,  comma  2,
del  decreto-legge  31  maggio   2010,   n.   78,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nonche' al fine di
consentire l'espletamento delle funzioni istituzionali in  situazioni
di  ripristinato  equilibrio  finanziario  per   le   regioni   ,gia'
sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi  sanitari,  sottoscritti
ai Sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n.
311, e successive modificazioni, e gia' commissariate  alla  data  di
entrata in vigore della presente legge, non possono essere intraprese
o proseguite azioni esecutive, anche ai sensi dell'articolo  112  del
codice del processo amministrativo, di cui all'allegato l al  decreto
legislativo 2 luglio  2010,  n.  104,  nei  confronti  delle  aziende
sanitarie locali e ospedaliere delle regioni  medesime,  fino  al  31
dicembre 2013. I  pignoramenti  e  le  prenotazioni  a  debito  sulle
rimesse finanziarie trasferite dalle regioni di cui al presente comma
alle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle  regioni  medesime,
ancorche' effettuati prima  della  data  di  entrata  in  vigore  del
decreto-legge n. 78 del 2010, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 122 del 2010, sono estinti di diritto dalla data di  entrata
in vigore della presente disposizione. Dalla medesima data cessano  i
doveri di custodia sulle predette somme, con obbligo per i  tesorieri
di  renderle  immediatamente  disponibili,  senza  previa   pronuncia
giurisdizionale,  per  garantire   l'espletamento   delle   finalita'
indicate nel primo periodo". 
    Deve  infatti  rammentarsi  che   l'art.   22,   comma   4,   del
decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (convertito con modificazioni con
legge 3 agosto 2009, n. 102) ha  imposto  alla  Regione  Calabria  di
predisporre   un   Piano   di   rientro,   contenente    misure    di
riorganizzazione e riqualificazione del Servizio sanitario regionale,
da sottoscriversi con l'Accordo di cui all'art. 1, comma  180,  della
legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, nonche' a
provvedere a quanto previsto dall'art. 1, comma  174  della  medesima
legge. 
    Conseguentemente con DGR n. 845 del 16 dicembre 2009  (pubblicata
sul Bollettino ufficiale n. 5 del 16 marzo 2010) la Regione  Calabria
ha approvato il Piano di  riqualificazione  e  razionalizzazione  del
Servizio sanitario per gli anni 2010-2012 e, successivamente, con DGR
n. 908 del 23  dicembre  2009  (pubblicata  nel  medesimo  Bollettino
ufficiale) ha approvato l'accordo, ai sensi dell'art. 1,  comma  180,
legge  311/2004,  sottoscritto  con  i  Ministeri  della   salute   e
dell'economia in data 17 dicembre 2009. 
    Con delibera del Consiglio dei Ministri del  30  luglio  2010  il
Governo ha nominato il Presidente pro-tempore della Giunta  regionale
della Calabria quale Commissario ad acta per l'attuazione  del  Piano
di rientro dal disavanzo sanitario. 
    La situazione giuridica e  di  fatto  in  cui  versa  la  Regione
Calabria,   in relazione    al    disavanzo    sanitario,    comporta
l'applicazione dell'art. 1, comma 51, della legge n.  220  del  2010,
onde l'inammissibilita' dell'azione di ottemperanza. 
    La ricorrente ha sostenuto al riguardo  che  tale  norma  non  si
applicherebbe  al  giudizio  di  ottemperanza   avanti   il   giudice
amministrativo, invocando a tal fine precedenti giurisprudenziali  in
tal senso, ed in particolare la sentenza del TAR Milano n. 1573/2011. 
    Il  Collegio  rileva  che  tale  interpretazione  (peraltro   non
condivisa da questo Tribunale - cfr. TAR Reggio Calabria ordinanza n.
23 dell'11 gennaio 2012) non puo' essere sostenuta, specie a  seguito
della modifica  all'art.  1,  comma  51,  della  legge  n.  220/2010,
apportata dall'art. 6-bis del decreto-legge n. 158/2012. 
    La disposizione citata  (il  cui  testo  e'  stato  integralmente
riportato  in  precedenza),  include  espressamente  tra  le   azioni
esecutive  che  non  possono  essere  intraprese  o  proseguite   nei
confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle  regioni
sottoposte  ai  piani  di  rientro  dai  disavanzi  sanitari,   anche
l'ottemperanza di  cui  all'art.  112  c.p.a.,  precisando  che  tale
preclusione ha effetto fino al 31 dicembre 2013. 
    2) Chiarito che anche il giudizio di ottemperanza e' soggetto  ai
termini di sospensione previsti dall'art. 1, comma 51, della legge n.
220/2010,  come  modificato  dall'art.  6-bis  del  decreto-legge  n.
158/2012, il Collegio ritiene che  vi  siano  i  presupposti  per  la
rimessione della questione  alla  Corte  costituzionale,  sussistendo
seri  dubbi  in  ordine  alla   legittimita'   costituzionale   della
disposizione richiamata. In tal senso peraltro si e' gia' espresso il
T.A.R. Salerno, Sez. 1, con le ordinanze  di  rimessione  alla  Corte
Costituzionale n. 1479 e n. 1481,  entrambe  del  7  settembre  2011,
nonche' il T.A.R. Napoli  Sez,  IV  con  ordinanza  n.  5813  del  14
dicembre 2011, che questo Tribunale condivide e di  cui  verranno  in
gran parte riprese le motivazioni. 
    Il  Collegio,  pur  ravvisando  l'identita'  delle  questioni  di
costituzionalita',  ritiene  di  dover  rimettere  autonomamente   la
questione  alla  Consulta,  in  quanto  le  ordinanze  di  rimessione
adottate  dagli  altri  TAR  riguardano  ricorsi  per  l'ottemperanza
instaurati prima dell'intervenuta modifica  dell'art.  1,  comma  51,
legge n. 220 del 2010 ad opera dell'art. 6-bis del  decreto-legge  n.
158/2012,  e  pertanto  le  relative   questioni   sono   formalmente
riconducibili  al  testo  della  norma  antecedente   alla   suddetta
modifica. 
    2.1) Sulla rilevanza della questione di costituzionalita'. 
    Se il Collegio non dubitasse della compatibilita'  costituzionale
della disposizione in esame, la  pretesa  della  ricorrente  sarebbe,
fino al 31 dicembre 2013, inammissibile, dovendo  farsi  applicazione
nel presente giudizio dell'art. 1, comma 51, legge n. 220  del  2010,
nel testo modificato dall'art. 6-bis del decreto-legge n. 158/2012. 
    Pertanto  si  rende  necessario  sollevare  in  questa  sede   la
questione di costituzionalita', atteso che soltanto a seguito del suo
accoglimento sarebbe  consentito  al  Tribunale  di  pronunciarsi  in
ordine  alla  pretesa  sostanziale  fatta  valere  dalla  ricorrente,
pretesa che, allo stato, appare fondata nel merito,  atteso  che,  in
base all'art. 4, comma 2, della legge n. 2248/1865,  Allegato  E,  la
Pubblica amministrazione ha un vero e proprio  obbligo  giuridico  di
conformarsi  al  giudicato  dei  Tribunali  e   che,   per   costante
giurisprudenza (Cass. 7 ottobre 1967,  n.  2326;  Cass.  27  novembre
1973, n. 3244; Cass. 26 ottobre 1974, n. 3175), il decreto ingiuntivo
non opposto acquista, al pari di un'ordinaria sentenza  di  condanna,
autorita' ed efficacia di cosa giudicata, in relazione al diritto  in
esso consacrato, come si evince dagli artt. 647 e segg. c.p.c. 
    2.2)  Sulla  non  manifesta  infondatezza  della   questione   di
costituzionalita'. 
    Appare  opportuno  premettere  una   ricostruzione   del   quadro
normativo di riferimento. 
    Al riguardo, si rammenta che l'art. 2, comma 89, della  legge  n.
191 del 23 dicembre 2009 (legge finanziaria 2010), per un periodo  di
dodici mesi decorrenti dalla  sua  data  di  entrata  in  vigore  (1°
gennaio 2010), impediva ai creditori di  intraprendere  o  proseguire
azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie od ospedaliere
delle regioni che avessero sottoscritto i piani di rientro  ai  sensi
dell'art. 1, comma 180, della menzionata legge n. 311 del 2004,  cio'
allo scopo di conseguire gli obiettivi  sottesi  ai  piani  medesimi,
volti ad aggredire i disavanzi verificatisi nel settore sanitario, La
norma stabiliva inoltre che i pignoramenti,  eventualmente  eseguiti,
non avrebbero vincolato gli enti debitori  e  i  tesorieri,  i  quali
avrebbero potuto ugualmente disporre delle  somme  per  i  loro  fini
istituzionali.  Quest'ultima  previsione  introduceva  un  meccanismo
retroattivo in grado di rendere del tutto inefficaci  i  pignoramenti
eseguiti in data antecedente all'entrata in vigore della legge  e  di
consentire agli enti debitori di rientrare nella piena disponibilita'
delle somme dovute, ancorche' pignorate (cd. "svincolo delle somme"). 
    Le perplessita' legate ai  probabili  profili  di  illegittimita'
costituzionale e di contrasto  con  la  normativa  comunitaria  hanno
indotto il legislatore a modificare la disposizione citata con l'art.
1, comma 23-vicies del decreto-legge 30 dicembre 2009, n.  194  (c.d.
decreto Milleproroghe, convertito con modificazioni nella legge n. 25
del 26 febbraio 2010), il quale ha  ridotto  da  dodici  a  due  mesi
l'efficacia temporale del blocco delle azioni esecutive. 
    In virtu' di questa modifica, a partire dal 1° marzo 2010  veniva
ripristinato il diritto dei creditori di agire  in  giudizio  per  il
soddisfacimento delle pretese vantate  nei  confronti  delle  aziende
sanitarie ed ospedaliere debitrici. 
    Sennonche', la situazione  di  deficit  complessivo  del  sistema
sanitario e le difficolta',  da  parte  delle  aziende  sanitarie  ed
ospedaliere,     di     raggiungere     l'auspicato      riequilibrio
economico-finanziario, hanno indotto il  legislatore  ad  intervenire
nuovamente. 
    L'art. 11, comma 2, del decreto-legge  25  maggio  2010,  n.  78,
convertito con modificazioni con legge 30 luglio  2010,  n.  122,  ha
stabilito infatti che "Per le regioni gia'  sottoposte  ai  piani  di
rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai  sensi  dell'articolo
1, comma 180, della legge 30 dicembre  2004,  n.  311,  e  successive
modificazioni, e gia' commissariate alla data di  entrata  in  vigore
del presente decreto-legge, al fine di  assicurare  il  conseguimento
degli obiettivi dei medesimi piani di rientro nella loro unitarieta',
anche mediante il  regolare  svolgimento  dei  pagamenti  dei  debiti
accertati in attuazione dei medesimi  piani,  i  Commissari  ad  acta
procedono, entro  15  giorni  dall'entrata  in  vigore  del  presente
decreto-legge, alla conclusione della procedura  di  ricognizione  di
tali debiti, predisponendo un piano che individui modalita'  e  tempi
di pagamento. Al fine di agevolare quanto previsto dal presente comma
ed  in  attuazione  di  quanto  disposto  nell'Intesa  sancita  dalla
Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 3 dicembre  2009,  all'art.
13, comma 13, fino al 31 dicembre 2010 non possono essere  intraprese
o proseguite azioni esecutive nei confronti delle  aziende  sanitarie
locali e ospedaliere delle regioni medesime". 
    Questa nonna - rispetto all'art. 2, comma 89, legge  n.  191  del
2009 - presentava la novita' sostanziale di non contemplare  piu'  lo
"svincolo delle somme". 
    In seguito, il legislatore - con l'art. 1, comma 51, legge n. 220
del 2010  -  ha  riproposto  la  precedente  disposizione  nella  sua
interezza, posticipando pero' al 31 dicembre 2011 il termine sino  al
quale non potevano essere intraprese o  proseguite  azioni  esecutive
nei confronti delle aziende  sanitarie  locali  e  ospedaliere  delle
regioni  medesime  ed  ha  reinserito  il  principio  secondo  cui  i
pignoramenti e le prenotazioni a  debito  sulle  rimesse  finanziarie
trasferite dalle regioni alle aziende sanitarie locali e ospedaliere,
effettuati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge n.
78 del 2010, non producevano effetti dalla suddetta data fino  al  31
dicembre 2011 e non  vincolavano  gli  enti  del  Servizio  sanitario
regionale (ed i loro tesorieri), i duali potevano  disporre,  per  le
loro finalita' istituzionali, delle somme ad essi trasferite  durante
il suddetto periodo. 
    L'art. 17, comma 4 lett. e), decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98
(entrato in vigore il 6 luglio 2011) convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011,  n.  111,  ha  modificato  il  suindicato
articolo 1, comma 51,  legge  n.  220  del  2010,  prorogando  al  31
dicembre 2012 il termine sino al quale non potevano essere intraprese
o proseguite azioni esecutive e quello sino al quale i pignoramenti e
le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie  trasferite  dalle
regioni alle aziende sanitarie locali  e  ospedaliere  delle  regioni
medesime, effettuati prima  della  data  di  entrata  in  vigore  del
decreto-legge n. 78 del 2010, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 122 del 2010, producevano effetti e non vincolavano gli enti
del Servizio sanitario regionale ed i tesorieri. 
    Infine, l'art. 6-bis, comma 2, lett. a) e  b),  decreto-legge  13
settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge  8
novembre 2012, n. 189, ha ulteriormente modificato la disposizione di
cui all'art. 1, comma 51, legge 220/2012,  fissando  al  31  dicembre
2013 il termine  sino  al  quale  non  possono  essere  intraprese  o
proseguite azioni esecutive, comprendendo  espressamente  tra  queste
anche le azioni di ottemperanza di cui all'art. 112  del  codice  del
processo amministrativo. Ha inoltre stabilito che i pignoramenti e le
prenotazioni a debito  sulle  rimesse  finanziarie  trasferite  dalle
regioni alle aziende sanitarie locali  e  ospedaliere  delle  regioni
medesime, ancorche' effettuati prima della data di entrata in  vigore
del decreto-legge n. 78  del  2010,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 122 del 2010, sono estinti di diritto  dalla  data  di
entrata  in  vigore  della  disposizione  di  cui  al   decreto-legge
158/2012. Dalla medesima data cessano  i  doveri  di  custodia  sulle
predette  somme,  con   obbligo   per   i   tesorieri   di   renderle
immediatamente disponibili, senza  previa  pronuncia giurisdizionale,
per garantire  l'espletamento  delle  finalita'  indicate  nel  primo
periodo. 
    Illustrato il quadro normativo di  riferimento,  il  Collegio  e'
dell'avviso che, per quanto la  disposizione  contenuta  all'art.  1,
comma 51,  legge  n.  220  del  2010,  cosi'  come  modificata  prima
dall'art. 17, comma 4, lett. e), decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98,
e, successivamente, dall'art. 6-bis, comma  2  del  decreto-legge  13
settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni  dalla  legge  8
novembre 2012, n. 189, sia ispirata dall'intento  di  contribuire  al
risanamento, nel settore  sanitario,  dei  bilanci  deficitari  delle
Regioni, la stessa possa  violare  alcuni  fondamentali  principi  di
diritto, espressamente tutelati  dalla  Costituzione  e  dal  diritto
comunitario. 
    Pertanto, avuto riguardo alla concreta incidenza della richiamata
normativa sui diritti creditori  di  parte  ricorrente,  il  Collegio
ritiene - riprendendo  gli  assunti  motivazionali  delle  suindicate
ordinanze n.1479 d n.1481/2011 del T.A.R. Salerno e n. 5813/2011  del
T.A.R. Napoli - che i dubbi  sulla  legittimita'  costituzionale  del
citato art. 1, comma 51, legge 220/2010, nel testo in  atto  vigente,
si presentino non manifestamente infondati con riferimento agli artt.
3, comma 1, 24, commi 1 e 2, 41 e 111, comma 2, della Costituzione. 
    L'art. 1, comma 51, legge n. 220 del  2010,  nel  testo  in  atto
vigente, presenta, innanzi tutto, aspetti di contrasto con l'art. 24,
commi 1 e 2, e con l'art. 111, comma 2, della  Costituzione,  perche'
introduce  una  norma  speciale  che  elide  la  possibilita'   della
soddisfazione concreta ed effettiva dei diritti del creditore.  
    L'entrata in vigore della citata disposizione ha  di  fatto  reso
inutile la possibilita',  riconosciuta  ai  creditori,  di  agire  in
giudizio al fine di ottenere il  soddisfacimento  delle  obbligazioni
dagli  stessi  vantate  nei  confronti  delle  aziende  sanitarie  ed
ospedaliere  delle  Regioni  soggette  a  commissariamento   per   il
risanamento del deficit finanziario in materia sanitaria. 
    Cio' appare ancora piu' evidente ove si consideri  che  la  norma
contestata, nella formulazione  vigente,  ha  addirittura  dichiarato
estinti di  diritto  i  pignoramenti  eseguiti  in  data  antecedente
all'entrata in vigore della legge e consente agli  enti  debitori  di
rientrare nella piena disponibilita' delle  somme  dovute,  ancorche'
pignorate. 
    La norma, incidendo retroattivamente su posizioni consolidate per
effetto di una procedura esecutiva giurisdizionale e  vanificando  il
rimedio   del   giudizio   di   ottemperanza   avanti   il    giudice
amministrativo, si pone in evidente contrasto  con  il  principio  di
effettivita' del diritto di difesa sancito dall'art. 24, commi 1 e  2
Cost., il cui esercizio viene impedito per un arco temporale (dal  31
maggio 2010 al 31 dicembre 2013, ossia per tre anni  e  sette  mesi),
che va oltre gli  ordinari  canoni  della  proporzionalita'  e  della
ragionevolezza. 
    Risulta  altresi'  violato  il  principio  del  giusto   processo
proclamato dall'art 111, comma 2, Cost., perche' la norma  censurata,
da un lato, altera la condizione di parita'  tra  le  parti,  ponendo
l'amministrazione in una posizione di  ingiustificato  privilegio  e,
dall'altra, incide sulla ragionevole durata del processo. 
    Non sembra deporre, in senso contrario, la considerazione secondo
la 
    quale il legislatore, con la norma contestata,  avrebbe  soltanto
sospeso,  per  un  tempo  determinato,   l'esercizio   delle   azioni
esperibili dai creditori delle aziende  sanitarie  ed  ospedaliere  a
tutela dei propri diritti, e cio'  per  consentire  alle  Regioni  di
rientrare dal dissesto finanziario ed evitare,  nel  frattempo,  alle
stesse, la pressione  derivante  dalle  esposizioni  debitorie  delle
aziende sanitarie  ed  ospedaliere.  Per  questa  ragione  e  per  un
limitato  intervallo  di  tempo,  i  debiti  delle  predette  aziende
sarebbero  stati   semplicemente   congelati,   e   cio'   a   tutela
dell'interesse pubblico al corretto andamento dei conti  pubblici  e,
pertanto, a beneficio della collettivita'. 
    E' facile sul  punto  ribattere  che  una  mera  sospensione  del
diritto di azione a tutela del proprio credito puo' produrre  effetti
considerevoli  (se  non  addirittura  dirompenti)  sulla   situazione
economica e patrimoniale dei creditori, specie quando  si  tratti  di
imprese produttici di  beni  e/o  erogatrici  di  servizi.  Peraltro,
l'efficacia limitata nel tempo di tale sospensione e' stata ed e' nei
fatti smentita dalla prassi seguita dal legislatore che, negli scorsi
anni e, da ultimo, con  il  recente  decreto-legge  n.  158/2012,  e'
ricorso  allo  strumento  della  proroga  reiterata,  allo  scopo  di
mantenere in vita il regime speciale. 
    Sicche', la  fissazione  (reiterata)  di  un  termine  finale  di
efficacia della norma derogatoria di diritto speciale  appare  sempre
piu' spesso un meccanismo elusivo, al quale  il  legislatore  ricorre
per rendere in apparenza piu' "digeribili" delle misure  legislative,
volte in concreto  a  disattivare  a  tempo  indeterminato  -  grazie
all'espediente delle proroghe reiterate  -  l'efficacia  del  diritto
ordinario. 
    In senso contrario alla  censura  di  violazione  dell'art.  111,
comma 2,  Cost.  potrebbe  osservarsi  che  un'eventuale  azione  del
creditore  proposta  nei  confronti   delle   aziende   sanitarie   o
ospedaliere, in presenza di una normativa che sospende  il  pagamento
dei  relativi  crediti,  sarebbe   suscettibile   di   pronuncia   di
inammissibilita'  in  rito,  salva  la   possibilita'   di   proporre
nuovamente l'azione  giurisdizionale,  una  volta  che  la  normativa
derogatoria abbia esaurito i suoi effetti per lo spirare del  termine
finale fissato per legge. 
    In  questo  senso,  un'eventuale  lesione  del  principio   della
ragionevole durata del processo potrebbe eventualmente porsi soltanto
per  i  ritardi  registrati  nel   giudizio   successivo,volto   alla
definizione del merito della questione. 
    A  questa  osservazione  e'  facile  tuttavia  replicare  che  il
principio della ragionevole durata del processo va  sempre  collegato
alla pretesa sostanziale che si intende fare valere in giudizio. 
    In altri termini, per valutare se un processo  si  e'  svolto  in
tempi ragionevoli occorre considerare  la  durata  complessiva  della
vicenda giudiziaria in relazione alla pretesa di diritto  sostanziale
per la quale il soggetto ha  adito  il  giudice,  essendo  del  tutto
indifferente  che  per  quella  pretesa  siano  state   proposte   in
successione una pluralita' di azioni. 
    Risulta   utile,   in   proposito,   fare    riferimento    anche
all'ordinamento comunitario. 
    L'art.  47  della  Carta  dei  Diritti  fondamentali  dell'Unione
Europea del 7 dicembre 2000 (cd. Carta  di  Nizza),  adottata  il  12
dicembre 2007 a Strasburgo, garantisce, quale diritto dell'Unione, il
diritto di ogni individuo ad  un  ricorso  effettivo  dinanzi  ad  un
giudice indipendente ed imparziale ed entro un termine ragionevole. 
    Sul punto, l'art. 6, 1° par., del Trattato  di  Lisbona  sancisce
che "L'Unione riconosce i diritti, le liberta' e i  principi  sanciti
nella Carta  dei  Diritti  fondamentali  dell'Unione  Europea  del  7
dicembre 2000 (Carta di  Nizza),  adottata  il  12  dicembre  2007  a
Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati". 
    Il divieto di intraprendere o  proseguire  azioni  esecutive  nei
confronti delle amministrazioni sanitarie  pubbliche  di  Regioni  in
dissesto, divieto operante,  per  effetto  della  sovrapposizione  di
normative succedutesi nel tempo, dal 31 maggio 2010  al  31  dicembre
2013 (ossia per tre anni e sette mesi, con probabilita' di  ulteriori
proroghe),  sembra  porsi  in  aperto  contrasto   con   il   diritto
dell'individuo ad un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice terzo ed
imparziale, da concludersi peraltro entro un termine ragionevole. 
    La norma in discussione impedisce al creditore - persona fisica o
giuridica che sia - l'esercizio del diritto soggettivo  individuabile
in una posizione giuridica di vantaggio  consistente  nel  potere  di
agire  nei  confronti  di  altri  soggetti,  tra  cui  le   pubbliche
amministrazioni, per il soddisfacimento  di  interessi  espressamente
riconosciuti dall'ordinamento. 
    L'art. 1, comma 51, legge n. 220 del  2010,  nel  testo  in  atto
vigente, presenta inoltre aspetti di contrasto con l'art. 3, comma 1,
della Costituzione.  
    A   fronte   dell'improcedibilita'   dell'odierno   ricorso   per
l'ottemperanza, il diritto di credito vantato in virtu' di un  titolo
esecutivo e' subordinato all'adozione di atti  amministrativi  aventi
natura previsionale e programmatica ed, in quanto tali, di  contenuto
del tutto generico. 
    Il creditore si trova quindi  nell'impossibilita'  di  realizzare
liberamente la propria attivita' economica, allo scopo  di  ricavarne
un legittimo profitto, in particolare laddove  operi  nel  territorio
della  Regione  Calabria,  con  palese  discriminazione  rispetto  ai
creditori di aziende sanitarie ed  ospedaliere  ubicate,  invece,  in
altre regioni per le quali un simile impedimento non sussiste. 
    Ne deriva una evidente disparita' di  trattamento,  in  contrasto
con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3, comma  1,  della
Costituzione. 
    Ne', in senso contrario,  la  previsione  contenuta  all'art.  1,
comma 51, legge n. 220 del 2010 nel testo in vigore appare  assistita
dai principi di ragionevolezza e di adeguatezza. 
    Deve rilevarsi infatti che i debiti pregressi,  sebbene  sospesi,
continuano a fare parte della massa passiva  del  bilancio  contabile
dell'ente e che, in ogni caso, essi dovranno essere  pagati,  essendo
pero' incerto quando cio' si verifichera'. 
    Di contro, va osservato che il risanamento  potrebbe  realizzarsi
con strumenti alternativi di piu'  ampio  respiro,  quali  una  seria
attivita' programmatoria e  di  cooperazione  tra  Stato  e  Regione,
secondo modalita' concordate, volte a scadenzare  il  contenimento  e
la razionalizzazione della spesa per il  futuro  (questa  sarebbe  la
direzione indicata dall'art. 1, comma 180, della menzionata legge  n.
311 del 2004). 
    Una previsione legislativa, quale l'art. 1, comma  51,  legge  n.
220 del 2010,  nel  testo  vigente,  che  preclude  la  richiesta  di
adempimento sino ad una data determinata (piu' volte prorogata),  non
appare ne' adeguata ne' ragionevole perche', nel bilanciamento tra  i
contrapposti interessi, quello del privato di ricevere  soddisfazione
della propria legittima pretesa pecuniaria,  in  virtu'  della  piena
applicazione delle comuni regole del diritto privato  e  del  diritto
processuale civile, e quello pubblico, volto a ristabilire ordine nei
conti dell'ente, sacrifica pesantemente il primo senza che vi sia una
reale contropartita in favore del secondo, specie in assenza di  ogni
garanzia circa l'effettiva esecuzione di  attivita'  di  ricognizione
dei  debiti   e   di   pianificazione   dell'adempimento   da   parte
dell'Amministrazione regionale  sanitaria,  affidato  all'insondabile
disponibilita' di quest'ultima. 
    La costante reiterazione del termine di esigibilita' dei  crediti
inoltre e' prassi che mal si concilia con i canoni di  adeguatezza  e
ragionevolezza. 
    La normativa censurata presenta altresi' aspetti di contrasto con
il principio della liberta' di iniziativa economica privata,  sancito
dall'art. 41 Cost. 
    Nella maggior  parte  dei  casi,  i  soggetti  che  intrattengono
rapporti economici con le amministrazioni pubbliche sanitarie sono in
prevalenza imprenditori, i quali hanno stipulato con queste contratti
per la fornitura di beni o di  servizi  a  seguito  di  procedure  di
evidenza pubblica. 
    Per un imprenditore, in misura forse piu' accentuata rispetto  ad
un ordinario creditore,  la  puntualita'  nel  ricevere  i  pagamenti
costituisce un fattore decisivo per il buon andamento e spesso per la
sopravvivenza stessa  dell'impresa.  L'affidabilita'  del  contraente
nell'adempiere  alle  obbligazioni  assunte,  rispettando   i   tempi
pattuiti, rende possibile una saggia  e  piu'  serena  programmazione
dell'attivita' d'impresa, ridimensiona notevolmente la necessita' del
ricorso  ad  onerosi  prestiti  e  finanziamenti  bancari,   consente
all'imprenditore di rispettare le scadenze dei  pagamenti,  ai  quali
sia a sua volta tenuto. 
    Non a caso,  i  rilevanti  condizionamenti  che  la  materia  dei
pagamenti produce  sul  libero  mercato  e   la   concorrenza   hanno
sollecitato l'interesse dell'ordinamento comunitario. 
    Sul punto, la direttiva  2011/7,  e  prima  ancora  la  direttiva
2000/35,  hanno  introdotto  a  livello  comunitario  una   normativa
generale contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. 
    Nel terzo considerando,  la  direttiva  2011/7  evidenzia  che  i
ritardi  di  pagamento  nelle  transazioni  commerciali   influiscono
negativamente sulla liquidita' e complicano la  gestione  finanziaria
delle imprese. Essi compromettono  anche  la  loro  competitivita'  e
redditivita' quando il creditore deve ricorrere ad  un  finanziamento
esterno a causa di ritardi nei pagamenti. Il rischio di tali  effetti
negativi  aumenta  considerevolmente  nei   periodi   di   recessione
economica, quando l'accesso al finanziamento diventa piu' difficile. 
    Nel sesto  considerando,  la  stessa  direttiva  ricorda  che  la
Commissione ha sottolineato  la  necessita'  di  creare  un  contesto
giuridico ed economico che favorisca  la  puntualita'  dei  pagamenti
nelle transazioni  commerciali.  E  utile  osservare  -  continua  la
Direttiva - che alle pubbliche amministrazioni spetta una particolare
responsabilita' al riguardo. 
    Nel ventitreesimo  considerando,  si  evidenzia  poi  che  lunghi
periodi di pagamento e ritardi di pagamento da parte delle  pubbliche
amministrazioni per merci e servizi determinano costi  ingiustificati
per le imprese. 
    E' pur vero che il  venticinquesimo  considerando  da'  atto  che
particolarmente preoccupante e' la situazione dei servizi sanitari in
gran parte degli Stati membri. I  sistemi  di  assistenza  sanitaria,
come parte fondamentale  dell'infrastruttura  sociale  europea,  sono
spesso  costretti  a  conciliare  le  esigenze  individuali  con   le
disponibilita'  finanziarie,  in  considerazione  dell'invecchiamento
della popolazione  europea,  dell'aumento  delle  aspettative  e  dei
progressi della medicina. Per tutti i sistemi - continua la Direttiva
- si  pone  il  problema  di  stabilire   priorita'   nell'assistenza
sanitaria in modo tale da bilanciare le esigenze dei singoli pazienti
con le risorse finanziarie disponibili. Gli Stati  membri  dovrebbero
quindi poter concedere agli enti pubblici che  forniscono  assistenza
sanitaria una certa flessibilita' nell'onorare i loro impegni. A  tal
fine, gli Stati membri dovrebbero essere autorizzati,  a  determinate
condizioni, a prorogare il periodo legale di  pagamento  fino  ad  un
massimo di sessanta giorni di calendario. Gli Stati membri, tuttavia,
dovrebbero   adoperarsi   affinche'   i   pagamenti    nel    settore
dell'assistenza sanitaria siano effettuati in accordo con  i  periodi
legali di pagamento. 
    Anche secondo la prospettiva comunitaria, dunque, la  particolare
situazione  dei  servizi  sanitari,  se  consente  la  previsione  di
proroghe  del  periodo  legale  di  pagamento,  certamente  non  puo'
giustificare il sostanziale blocco degli stessi per periodi che,  nel
nostro Stato, raggiungono i tre anni e sette mesi, e  che  quindi  di
durata limitata non sono. 
    Questa   situazione   comprime   notevolmente   le    transazioni
commerciali, in contrasto con l'art.  14  del  Trattato,  secondo  il
quale gli operatori economici dovrebbero essere in grado di  svolgere
le proprie attivita' in tutto il mercato interno, in condizioni  tali
da garantire che le operazioni transfrontaliere non comportino rischi
maggiori di quelle poste in  essere  all'interno  dei  singoli  Stati
membri. 
    Il  legislatore  italiano  ha  dato  attuazione  alla  richiamata
direttiva 2011/7 con il d.lgs.  9  novembre  2012,  n.  192,  che  ha
apportato  modificazione  al  d.lgs.  9  ottobre  2002,  n.  231,  di
recepimento della precedente direttiva 2000/35, che  ha  incluso  nel
suo ambito di applicazione anche le pubbliche  amministrazioni,  allo
scopo di contrastare  la  loro  cronica  lentezza  nell'adempiere  ai
propri debiti. 
    L'art. 4, comma 1, d.lgs. 231 del 2002 ha fissato il fondamentale
principio   secondo   cui   gli   interessi   (moratori)   decorrono,
automaticamente, dal giorno successivo alla scadenza del termine  per
il pagamento. 
    Non puo' passare inosservato il comportamento contraddittorio del 
    legislatore italiano che, da un  lato,  con  il  d.lgs.  231/2002
traccia una disciplina generale, anche in attuazione della  normativa
comunitaria,  volta  ad  indurre  le  amministrazioni  pubbliche   ad
effettuare con regolarita' e  tempestivita'  i  pagamenti  dovuti  e,
dall'altro, con l'art. 1, comma 51, legge n. 220 del 2010, nel  testo
in  atto  vigente,  consente  una  deroga   che,   in   ragione   del
procrastinarsi  nel  tempo  a  causa  delle  proroghe  reiterate,  e'
destinata a non essere piu' connotata da una natura speciale. 
    Nei fatti,  la  normativa  criticata  spinge  le  grandi  imprese
multinazionali del settore sanitario (che sono quelle  che  investono
maggiormente nella ricerca  e  nell'innovazione)  ad  abbandonare  il
mercato italiano, con effetti negativi  sull'efficienza  del  sistema
sanitario,  costretto   ad   avvalersi   di   prodotti   (medicinali,
attrezzature  medicali,  servizi  e  quant'altro)  non  innovativi  e
comunque di qualita' non ottimale, con  un'alterazione  del  corretto
funzionamento  del  mercato  unico  e,  nello   stesso   tempo,   con
ripercussioni negative sulla qualita' del servizio sanitario. 
    3) Tanto premesso, ai sensi dell'art. 23,  secondo  comma,  della
legge  11  marzo  1953,  n.   87,   ritenendola   rilevante   e   non
manifestamente  infondata,  questo  Tribunale  solleva  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  51  della  legge  12
dicembre  2010,  n.  220,  come  modificata   dall'art.   6-bis   del
decreto-legge  13   settembre   2012,   n.   158,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, per contrasto con
gli artt. 3, comma 1, 24, commi 1 e 2,  41  e  111,  comma  2,  della
Costituzione, secondo i profili e per le ragioni sopra indicate,  con
sospensione del  presente  giudizio  fino  alla  pubblicazione  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana  della  decisione  della
Corte costituzionale sulle questioni indicate, ai  sensi  e  per  gli
effetti di cui agli artt. 79 ed 80 del cod. proc. amm.  ed  art.  295
c.p.c. 
    Riserva al definitivo ogni  ulteriore  decisione,  nel  merito  e
sulle spese.